di Raniero Pirlo

La leggenda di Colapesce: quel "Nicola di Bari" che viveva in fondo al mare
BARI – È una delle leggende più diffuse del Meridione e ha affascinato pittori, poeti e scrittori. Si tratta della storia di Colapesce, il ragazzo in grado di immergersi in acqua come una creatura marina rimanendovi anche per giorni interi. Non tutti però sanno che il protagonista di questa vicenda, con il tempo divenuta un “classico” del folklore siciliano, è un barese di nome Nicola, almeno stando agli esperti che ne hanno studiato le prime attestazioni letterarie.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Il mito racconta che il giovane, figlio di un pescatore, fu soprannominato Colapesce in virtù della sua straordinaria abilità nel nuoto. Constatato questo talento, il sovrano del regno (forse Federico II di Svevia) lo mise alla prova in imprese sempre più grandi alla ricerca di tesori depositati sui fondali. Al suo ritorno il fanciullo era solito raccontare le meraviglie che aveva visto: valli, fiumi, monti e campi sottomarini. Alla fine, però, il re lo costrinse a una spedizione troppo rischiosa dalla quale il prodigio non fece più ritorno.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Un epilogo così tragico non poté che ispirare Friedrich Schiller, il famoso scrittore romantico tedesco, che nella sua poesia del 1797 “Il tuffatore” descrisse l’incontro fra l’uomo-pesce e il sovrano sino alla “sfida” fatale.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Nel Belpaese invece fu Italo Calvino a immortalare la leggenda nella raccolta del 1956 Fiabe italiane, trascrivendone una “variante” siciliana. Siciliano era anche il pittore Renato Guttuso, che immortalò questa favola scegliendo Colapesce come soggetto della sua più grande opera mai realizzata: 130 metri costituiti da 143 pannelli colorati, assemblati dal maestro di Bagheria a formare la volta del Teatro Vittorio Emanuele di Messina, che ritrae un giovane che si tuffa in mare circondato da sirene (nell’immagine).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Perché è in Sicilia che questa storia ha lasciato un segno più profondo, al punto che in una delle sue versioni Colapesce scopre le tre colonne che sorreggono l’isola e si sostituisce a una di esse, scegliendo quindi di restare per sempre sott’acqua.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Eppure pare sia stata proprio la Puglia e Bari in particolare ad aver dato i “natali” al leggendario uomo-pesce. Un primo indizio della “baresità” del protagonista si riscontra già nel suo appellativo. A partire dall’arrivo delle reliquie del Vescovo di Myra nel 1087, infatti, Nicola divenne con distacco il nome più diffuso del capoluogo pugliese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)


Questa però non è certo l’unica prova; c’è molto di più. La prima attestazione letteraria del mito si trova in una poesia provenzale, una canso della fine del XII secolo. Siamo nel Medioevo, intorno al 1190, quando il poeta Toledo Raimon Jordan cita nel suo scritto la storia di Colapesce.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Riportiamo qui la traduzione di D’amor nom puesc departir ni sebrar  (“Dall’amore non posso partire né separarmi”). «Ho la stessa stella di Nicola di Bari /che, se fosse vissuto a lungo, sarebbe divenuto un sapiente/il quale rimase per molto tempo in mare assieme ai pesci/ eppure sapeva che lì prima o poi sarebbe morto/ ciononostante non volle mai ritornare a riva/e se anche lo fece tornò subito a morire laggiù/ nel grande mare da cui non poté più uscire/ prima, per certo, trovò laggiù la morte».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

In questi versi il trovatore narra della sua incapacità di separarsi dall’amore e si paragona a quel “Nicola di Bari” che pur consapevole di essere destinato a morire in acqua sceglie di rimanervi assieme ai pesci. Un riferimento che non lascerebbe adito a dubbi.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Qualche decennio dopo, nel 1210, il politico e scrittore inglese Gervase di Tilbury confermò le origini pugliesi dell’eroe parlando di un Nicolaum Papam, hominem de Apuliae oriundum, cujus mansio fere continuo eratin profundo maris («Nicola Papa, un uomo pugliese, la cui dimora era pressoché continuamente in fondo al mare»), anche se ambientò la vicenda nello stretto di Messina.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Dal Duecento in poi però la leggenda si diffuse in tutto il Mediterraneo e ogni cantastorie si divertì ad ambientarla nella propria terra, al punto che città come Catania e Napoli, ma anche Genova e persino Barcellona tentarono di attribuirsi la paternità del mito.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)

Sino ad arrivare all’800, quando lo studioso tedesco Heymann Steinthal azzardò un’identificazione di Colapesce con San Nicola, patrono del capoluogo pugliese e protettore del mare. Un’ipotesi che fu respinta dal critico Benedetto Croce, ma che conferma come in fondo ci sia qualcosa di importante che lega Bari a questa romantica e immortale leggenda. 


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Raniero Pirlo
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  • Giorgio Maselli - La storia di Cola, giovane di Catania, è stata narrata anche da Giovanni Pontano, nel poemetto in latino, Urania, quarto libro, versi 469-581. Anche Pontano collega la morte di Cola ad una prova imposta da Federicus. Il racconto è bellissimo.


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